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•Bibliografia su Formia nell'età medievale

•Roberto Frecentese: pubblicazioni


Nel sito gli studiosi possono trovare informazioni sulla cittą di Formia in etą medievale, dal raccordo con il tardo antico al termine del basso Medieovo.

I saggi sono condensati dalle pubblicazioni di Roberto Frecentese riportate in calce.

Senza alcuna pretesa di esaustivitą, vengono ripercorsi alcuni tratti della storia formiana.

La bibliografia riporta i contributi pił significativi assieme ad alcuni studi di carattere pił generale, utili come punti di riferimento.


 

Castellonorato nel Medioevo

Veduta di Castellonorato.

Situato su una collina, in posizione dominante sul Golfo di Gaeta, Castellonorato prosegue la serie di insediamenti ininterrotti lungo la fascia pedemontana tra Gaeta ed il Garigliano. Tra i Formiami colles Onorato I Caetani, conte di Fondi, nell'ultimo quarto del secolo XIV aveva stabilito una rete di fortificazioni su preesistenti strutture: Castellone, Maranola, Castellonorato. Queste si univano alle turrite Fondi, Itri, Mola Traetto. Tutte si inquadravano nel dominio dei Caetani, intenti ad assicurarsi l'antico Formianum (da Canneto presso il limite di Terracina al Garigliano) e tessendo nella terra aurunca un sistema integrato di rocche e città fortificate.
L'intensa attività edificatoria militare del conte fondano lasciò ampia traccia a Castellonorato, il cui nome (Castrum Honorati) sembra derivare dall'illustre personaggio, che tanta incidenza ebbe nel travagliato periodo dello Scisma d'Occidente. Il conte, di indole guerriera, aveva intuito la validità delle nuove strategie di combattimento proponendo quelle innovazioni per le cinte murarie, che anticipavano alcune modalità della guerra moderna.
Castellonorato diveniva così baluardo a guardia della piana dell'Ausente con perfetta visione del limes laziale-campano e del mare, ma anche sentinella collinare integrata con le torri formiane di Maranola, Mola e Castellone.
Tuttavia questo sistema coabitava con il più antico polo di controllo del territorio creato dal cenobio benedettino cassinese attraverso l'acquisizione della ex cattedrale di S. Erasmo, a guardia della via fluviale commerciale del Liri-Garigliano con il relativo sbocco a mare.
Ma la nascita del borgo turrito non equivaleva ad autonomia. Occorreva comunque attendere il 1428 perché Castellonorato potesse raggiungere anche l'indipendenza amministrativa, staccandosi dalla Universitas di Maranola della quale era semplice terra.
La descrizione del borgo fortificato di Castellonorato è stata illustrata nell'articolo "Castellonorato e la sua storia", pubblicato nel numero speciale della rivista Latina Gens dedicato a Formia.La roccia su cui è stata costruita la cinta ha una fisionomia lunga e stretta, tanto da assumere la singolare sembianza di una nave. Due le porte di accesso agli estremi: una sita a mezzogiorno raggiungibile tramite una ripida gradinata con copertura ad archi e volte, denominata "capo la porta"; la seconda collocata ad oriente sul punto eminente della rocca, nella zona meno fortificata, chiamata "capo la terra". Il nucleo abitato veniva tagliato da una sola strada che lo attraversava per l'intera lunghezza. La rete viaria è determinata dal sistema dei vicoli; alcuni ciechi rimandano per analogia al borgo di Castellone.
L'anonimo articolista (che dovrebbe però essere A. De Santis) poneva la rocca proprio sulla prua dell'immaginifica nave, in particolare posizionata sul lato orientale. Della rocca è rimasta soltanto la torre centrale tondeggiante, la cui tecnica costruttiva appare simile a quelle di Castellone e Maranola. Della originaria struttura fortificata di Castellonorato, di quel progetto trecentesco del Caetani oggi rimangono poche vestigia significative.
Nella storia del territorio e nel successivo sviluppo urbanistico dei castri arroccati l'opera di Onorato I e dei suoi discendenti lasciò una tale impronta che i successori innescarono i propri interventi nel forte solco tracciato. Di quell'ampio progetto, però, allo stato attuale sull'intero territorio formiano poche tracce emergono con forti discontinuità. Sarebbe auspicabile un recupero dei tessuti urbanistici caetani con un intervento mirato di archeologia medievale.
Tra le tracce della struttura caetanea di Castellonorato nel 1930 erano ancora percepibili oltre i due ingressi al borgo, alcuni loggiati, due porte ad arco acuto, una nel sottopasso a "capo la porta" e l'altra sul retro e a latere della chiesa di S. Caterina.

Castellonorato: Capo la Porta


Sembra che sul modello delle rocche fortificate basso medievali, anche Castellonorato non sia stata creata ex novo ma su un preesistente impianto abitato. Le vestigia di quell'originario insediamento pre caetaneo sono probabilmente inserite nel sistema delle fondazioni delle abitazioni o inglobate in edifici seriori.
Anche qui potrebbero diventare di notevole interesse per la storia del castro eventuali recuperi da compiere in corrispondenza di possibili siti sensibili, tenendo d'occhio il particellare del catasto urbano.
Le vicende del nuovo borgo fortificato di Castellonorato possono essere seguite attraverso i documenti conservati nell'Archivio Caetani, che forniscono una serie di notizie sugli eventi bellici dei Caetani nel loro conflitto con il Papato, poi con i Durazzeschi insediatisi a Gaeta.
Questi interessanti sviluppi non consegnano notizie anteriori al XIV secolo.
Bisogna scivolare all'età antica, ed in particolare alle vicende pre romane, per cogliere altre informazioni. È attestata un'ininterrotta sequenza di strutture in opera poligonale in tutta la fascia pedemontana di Formia con la presenza delle diverse tipologie costruttive. In particolare nel territorio di Castellonorato sono state individuate, oggi ancora in situ, le stazioni poligonali della Madonna della Palomba, Orsano, Pella e monte Calvario nei pressi dello stadio, il tutto racchiuso nel tratto lineare di circa un chilometro. La presenza di questi elementi costruttivi fa propendere per l'ipotesi di un'attività umana stanziale già prima dell'avvento dei Romani (IV secolo a.C.).
Una continuità che gli stessi Romani hanno mantenuto, connotando questo territorio precipuamente in senso agrario e probabilmente consentendo la più antica attività di pascolo.
Gli insediamenti rurali del Patrimonium S. Petri si estendevano probabilmente senza soluzione di continuità tra Formiae e Minturnae. I casali presenti in più parti del Formianum, spesso di difficile localizzazione, occupavano le zone più fertili. Apparirebbe perciò evidente che la striscia di pianura ed i terrazzamenti a metà collina alle falde di Castellonorato non fossero privi di agricoltori associati in più nuclei familiari con idonee strutture di abitazione e ricovero. Questo è immaginabile fino al VI-VII secolo grazie all'opera intrapresa da Gregorio Magno e dai suoi successori.
Gli studi compiuti non hanno posto in risalto luoghi abitati nella zona collinare di Castellonorato tra VIII e XI secolo. Per cui bisognerebbe indicare una frattura nella antropizzazione, ripresa in condizioni più favorevoli, secondo i più forse dopo la sparizione della colonia saracena insediatasi sui Formiani colles nel IX secolo.
In realtà bisogna sottolineare quanto la mancanza di una mappa dei siti colonici, giustificata dall'assenza di una ricerca a monte sulla toponomastica medievale, abbia impedito quegli approfondimenti necessari per cogliere la fisionomia "diacronica" del territorio e dei suoi nuclei demici.
Qualche indicazione positiva viene fornita dalla lettura di alcune pergamene del Codex Diplomaticus Cajetanus (= C.D.C.). La collazione di queste fonti con altra documentazione superstite, può offrire un quadro meno oscuro delle vicende alto medievali di quella che diverrà la circoscrizione della Universitas di Castellonorato.
Il primo documento del Codex, che riguarda siti di pertinenza della futura universitas di Castellonorato, è stato redatto nella fase iniziale dell'esperienza del ducato di Gaeta. Riguarda l'atto di cessione (C.D.C., I, VIII) di alcune terre poste nella località "Mergataro" (nel tenimento di Maranola) da parte dei coloni della masseria di S. Erasmo ad un certo Lunisio residente nella località Britto.
La vendita riconducibile all'anno 845 contiene le sottoscrizioni dei coloni e la firma dell'estensore del rogito, il sacerdote Vitale, vicedomino. A completamento dell'escatocollo seguono le firme dei testimoni e la sottoscrizione di Costantino, vescovo della diocesi di Formia, e di Paolo, sacerdote e scriba. Tra i testimoni garanti dell'atto compaiono Leone, fittavolo del podere Casatico, e Leone, fittavolo del podere Locroziano. Il rogito ha rivestito particolare interesse per gli studiosi in quanto contiene l'attestazione dell'esistenza di una massa denominata "S. Erasmi" facente parte del Patrimonium S. Petri.
Ma è possibile localizzare i casali di Casatico e Locroziano, tra i più antichi testimoniati dal Codex?
Tra i pochi documenti superstiti riguardanti Castellonorato si conserva l'Inventario de' beni della chies'arcipresbiterale di S. Caterina della terra di Castell'onorato nella diocesi di Gaeta diviso in cinque parti, compilato il 20 luglio 1767 dall'arciprete d. Francesco Pecorini, che richiama un preesistente inventario del 1580, redatto dal notar Luzio Gesualdo su richiesta dell'arciprete d. Giacomo Giordano.
L'inventario faceva seguito ad un precedente inventario del 1731, alla redazione del catasto onciario del 1750 ed al libro delle deduzioni delle messe della parrocchiale di S. Caterina del 1754. L'inventario del 1767 manca delle pagine relative alla descrizione dei beni posti in Casatico; tuttavia nell'indice, compilato dal medesimo estensore dell'inventario, si attesta l'esistenza di un terreno in Casatico, concesso in enfiteusi a Filippo ed Angelo de Filippis.
Nell'anno 936 (C.D.C., I, XXXIX) per una lite sorta tra Pietro, vescovo di Gaeta, e i massarini da una parte e Docibile e Giovanni, duchi e ipati di Gaeta, dall'altra, il vescovato giurava la proprietà dei beni diocesani posti tra i confini del ruscello, la valle di Cerro, il casale Logrezzano, il confine di Lavino, il casale Verriano, il casale Raminitulo, fino a capo la Corte, fino ancora alla statua ed in linea retta fino al monte di Casatico.
Di questi confini, delineati nella carta giurata, oggi è possibile tracciare con sicurezza i limiti essendo rimasti alcuni toponimi inalterati nel tempo: il canale Cerro ancora oggi denomina la zona Vadicerro (= valle di Cerro), attestato pure nel 1236 (C.D.C., II, CCCXCIV), Casatico (con il colle Incrociatora).
E Casatico si colloca tra le località Mamurrano, Ponzanello, il monte Incrociatora e Farano.
Se il primo colono proveniva da Casatico, il secondo risiedeva nel fondo Locroziano.
Anche di questo casale è possibile rintracciare la collocazione.
Gli Statuti di Maranola, esemplati nella seconda metà del XVII secolo ma riferentesi ad una copia del 1532 su un originale anteriore al 1428, contiene il toponimo Logrozano.
Come spesso accadeva si assisteva al contemporaneo uso delle dizioni Logorzano, Trogorzano, Logrezzano.
La località Orsano si pone al di sotto del monte Sorgenza, a lato di Vadicerro; confina con la Pella e la Palombara. Nell'inventario del 1737 l'indice riporta il toponimo Orsano, che nel XVII secolo veniva spesso usato con la dizione oscillante Orsano/Orzano.
Secondo il De Santis (Appunti di toponomastica della bassa valle del Garigliano, ADSP, 1945, pp. 290, 298) il termine Orsano deriverebbe dalla gens Lucrezia. Il gentilizio che avrebbe dato il nome alla località si sarebbe trasformato in Locrotiano, poi in Logorzano (per metatesi), ancora in Lograzano, poi ancora in Lo Gorzano e per sincope in L'Orsano.
Ma l'identificazione certa del toponimo Locrotiano/ Logrezzano con Orsano si evince proprio dal documento del 936 (C.D.C., I, XXXIX), che segnalando i confini in sequenza colloca nei pressi di Valle di Cerro il casale Logrezzano. Ebbene Orsano si trova nelle immediate vicinanze di Vadicerro.
Potrebbe ancora trattarsi di Orsano quel casale Grazzano riportato nelle pergamene dell'anno 1000 (C.D.C., I, CII) e dell'anno 1006 (C.D.C., I, CXII). Lo Grazzano per Logrezzano?
Il termine ricorre ancora nella Rubrica delle Carte appartenenti al Monastero di S. Erasmo di Castellone di Gaeta che si conservano nell'archivio del Monastero di Monte Oliveto di Napoli fatta nel 1784 (RdC) all'anno 1365 (RdC, 93) e nel 1402 (RdC, 111): è un territorio con coltura ad olivo, enfiteusi concessa dal monastero di S. Erasmo di Castellone.
Cosicché almeno due casali e relativi toponimi sono attestati in modo continuativo tra IX e XI secolo.
Ancora negli Statuti di Maranola viene segnalata la fontana di Logorzano. La presenza di fonti d'acqua e di fontanili assicuravano l'esistenza di nuclei abitati e di allevamenti.
Le località Casatico ed Orsano vennero così abitate in modo continuativo tra IX e XV secolo.
L'interesse della diocesi di Gaeta per questi territori veniva determinato dagli oliveti e dalle zone boschive. La mensa vescovile traeva ampio reddito dalla coltivazione dell'ulivo in una zona non distante dal mare pur tuttavia non in pianura. Sono terreni in pendio con sorgenti d'acqua nei pressi e la collocazione dell'industria per la molitura delle olive (frantoi o montani) in prossimità dei luoghi di produzione. Si contano in questo arco spaziale resti o persistenze di alcuni montani.
Una terza località merita particolare attenzione: è il complesso della fontana e chiesa della Madonna della Palomba, confinante con la Rava Palombara. Questa zona racchiude a semicerchio, a partire dai monti, le spalle ed il fianco, lato Maranola, di Castellonorato.
Nel 1076 (C.D.C., II, CCL) Leontace e Rosa avevano venduto ai coniugi Mirando e Matrona la porzione di Campo Lungo dalla parte della Palombara con la spalla del monte fino al muro detto Porta d'oro. L'atto era stato redatto dal diacono e scriba Marino. I curatori del Codex erano incerti se Palombara si dovesse identificare proprio con il toponimo nel territorio di Castellonorato.
L'inventario del 1767 riporta il toponimo "Campolungo o Palombaro". Si tratta di un terreno confinante con la via pubblica ed il terreno denominato "Piloni", concesso in enfiteusi a Francisco Mastantuono. "Palombaro" era descritto come confinante con la strada pubblica, il parco della chiesa, il casale diruto di Palombaro e le mura della chiesa di Palombaro. Assegnato in enfiteusi era comprensivo di cinque frazioni: Erto degli Piloni, Strammariccio, L'aria antica di Palombaro, La Badia, Alla Grotta.
Campolungo è presso la Palombara nei pressi della fonte della Madonna della Palomba. Attualmente Campolungo è separato dalla fontana della Palomba dalla sede della strada provinciale Maranola-Castellonorato, creata su un tracciato più antico.
Nel 1236 (C.D.C., II, CCCXCIV) una pergamena rogata nel castro di Maranola richiama la chiesa e la Fons Palombari. Anche qui va notata la non casuale presenza di una fonte, ancor oggi utilizzata.
Il titolo della chiesa "Madonna della Palomba" deriverebbe dal nome di un imenottero notturno, la Falena (Magroglossa stellatarum), in dialetto "Palummo santo" o Spirito Santo. Negli Statuti di Maranola la fontana è chiamata di "Palummaro".
Il "Palummo santo" porta buone notizie e per questo non deve essere ucciso né molestato. La forma della farfalla richiama la colomba, simbolo dello Spirito Santo. L'insetto acquistava così metaforicamente un carattere sacrale.
Ma questa nota, desunta dalle tradizioni aurunche studiate da N. Borrelli, si scontrerebbe con il dato rilevabile dall'Inventarium Honorati Gaytani per il quale il toponimo è attinente alla riserva di caccia dei palombi (colombi). Questo territorio feudale dei Caetani già tempo addietro luogo di allevamento dei colombi, di conseguenza, avrebbe dato origine al titolo della chiesa in età più antica.
Nella relazione del 1928 il binomio Palomba-Colomba apparve agli occhi del parroco di Castellonorato la spiegazione più convincente per chiarire l'origine del titolo della chiesa.
La chiesa è antecedente al 1236, anno che costituisce, pertanto, il termine post quem non per la datazione della sua edificazione. Recenti radicali lavori di restauro, per lo stato di fatiscenza di alcune strutture, hanno fatto perdere la possibilità di studiare l'originaria tessitura delle mura per ricavare preziose informazioni sulle sue origini.
I territori di Casatico, Orsano, Palombara (tra XI e XIII secolo) con i rispettivi casali ospitarono insediamenti già in età ducale e vennero così stabilmente occupati ancor prima della fortificazione del borgo di Castellonorato. Tali strutture demiche si collocano ad occidente ed alle spalle del fortilizio e fungono da corona al monte sul quale venne costruito Castellonorato.
Apparirebbe consequenziale che, sul modello di numerosi esempi medievali, anche lì potesse essere sorta almeno una comunità. Ma la famiglia dei Docibile non ritenne opportuno edificare un castello sul monte Calvario, così come aveva realizzato nelle contee di Fondi, Traetto, Castro d'Argento e con i castelli di Itri, Maranola, Spigno, Suio. Probabilmente l'esiguità dell'abitato sconsigliava un ulteriore frazionamento del territorio.
Tra l'altro in pieno medioevo i tre casali di Orsano, Casatico e Palombaro costituivano il nerbo produttivo dell'economia agraria.
I casali ricadevano nel Formianum, porzione del Patrimonium Beati Petri almeno fino al 915. Poi passarono alle dipendenze del ducato di Gaeta retto dai Docibile. Con la crisi del ducato almeno una porzione dei casali gravitò sotto il cenobio di S. Erasmo di Castellone negli anni 1365 (RdC, 93) e 1402 (RdC, 111) a completamento della vasta espansione del monastero sul territorio formiano, iniziata già a partire dall'XI secolo fin ad includere le zone prossime al Garigliano e nel Mondragonese.
Parti più piccole di questi territori nel momento del progressivo decadimento del cenobio castellonese scivolarono nelle mani della chiesa del Carmine, così come attestato dall'Inventario del 1737. Era inevitabile che al declino del cenobio corrispondesse l'ascesa dell'altro luogo di culto; l'uno chiuso in una visione economica e sociale superata, l'uno vicino agli interessi ed edificato per volere della nuova borghesia castellonese.
Nel quadro delle vicende del primo quarto del XIV secolo i Caetani rimasero sostanzialmente estranei alle problematiche di Castellonorato.
Il territorio di quello che diventò universitas di Castellonorato venne conquistato tra il 1345 e 1347 dal conte Niccolò Caetani insieme a Sessa, Mola, Castellammare di Stabia, Maranola e Traetto. Il tentativo del conte di occupare Gaeta tra il 1346 e il 1347 si scontrò con la tenace difesa della città.
Dopo le tensioni militari con le terre di Itri e Traetto e con il cenobio di S. Erasmo e feudo di Castellone, puniti per aver dato sostegno alla regina Giovanna I, il conte e la città di Gaeta si accordarono per una duratura coesistenza.
Onorato I Caetani, successore di Niccolò, ampliò i possedimenti della propria famiglia fino a racchiudere un territorio compreso tra i colli Albani ed il Garigliano, includendo finanche le terre di Falvaterra ed Anagni.
Dopo la ristrutturazione del Castellone tradizionalmente collocata nel 1377, passò alla fortificazione di Maranola e Castellonorato, che in breve furono turriti.
Il termine Castellonorato (castrum Honorati) si riferisce con chiara evidenza ad Onorato Caetani: è certo che prima della seconda metà del secolo XIV questo termine è sconosciuto.
Onorato I si distinse per il suo carattere forte e audace è ricordato per la vicenda che lo oppose a papa Urbano VI. Lo scisma, iniziato con l'incoronazione dell'antipapa Clemente VII nella chiesa di S. Pietro in Fondi, segnò anche la rottura interna alla famiglia Caetani tra parenti fautori dell'antipapa e quelli fedeli alla cattedra romana.
Alla scomunica di Urbano VI seguì quella del successore Bonifacio IX. Nel 1417 l'elezione di Martino V pose fine allo scisma, ma Onorato I, sconfitto dal fratello di Bonifacio IX, era già morto il 20 aprile del 1400 dopo la pronuncia di un solenne atto di sottomissione al pontefice.
Ladislao, re di Napoli, nella nuova situazione assediò Maranola e Castellonorato, che si arresero ed ottennero il perdono del sovrano. Anche la figlia di Onorato, Jacobella, si arrese: venne così stipulato un trattato nel quale si stabilivano i diritti dei Caetani sui feudi, tra cui Castellonorato.
Il nuovo conte Giacomo Caetani divise i possedimenti in due porzioni: Campagna e Marittima con capoluogo Sermoneta ed i feudi del Regno di Napoli con capoluogo Fondi. Ciò per evitare la soggezione contemporanea di un solo Caetani sia al re di Napoli che al Papato.
Ma i Caetani nel conflitto che vide contrapporsi Ladislao e la Chiesa si opposero al re, per cui vennero esclusi dal potere sulla contea di Fondi. Tuttavia prima di morire Ladislao li riammise nel possesso, dopo aver dato vita feroce repressione anti baronale in tutto il Regno.
In quel frangente Gaeta approfittò per conquistare le terre che da Maranola conducevano al Garigliano. Cristoforo Caetani dichiarò guerra a Gaeta ed il conflitto si protrasse intervallato da tregue, l'ultima delle quali fissata il 21 febbraio 1419 con il consenso della regina Giovanna II.
In questo modo ebbe fine il momentaneo possesso di Pietro Origlia, conte di Caiazzo, al quale Ladislao, fratello di Giovanna II, aveva venduto Castellonorato e Maranola. Ma i Caetani riebbero per poco le due terre, occupate dal re Alfonso d'Aragona nel 1423.
L'anno successivo Gaeta fu ripresa grazie anche all'intervento di Cristoforo; e Giovanna II il 30 maggio 1424 sancì il rinnovo del possesso dei due castelli e della bastia del Garigliano ai Caetani.
Onorato II, figlio di Cristoforo morto nel 1441, dopo l'occupazione del Regno da parte di Alfonso di Aragona ebbe la conferma della contea di Fondi.
Nel 1466 il casato dei Caetani per i servizi resi alla corona poté fregiarsi del cognome d'Aragona e delle armi spagnole sullo stemma di famiglia. Onorato II fu accorto ed attivo mecenate e, dopo un'intensa presenza su tutto il territorio del ducato e nell'amministrazione del Regno come logoteta e protonotario, si spense nel 1491.
Sotto Onorato II venne compilato il catasto di Castellonorato del 1479, nel quale ricorrono alcuni toponimi più antichi, quali i citati Logorsano e Palombaro.
La terra di Castellonorato era stata già divisa da Maranola nel 1428 per complessivo un quarto del territorio originario, così come si evince da un rogito del 1690. Amministrativamente così dovette aver inizio una nuova università dotata di autonoma struttura. Sul modello di altre terre e città conquistate dai Caetani molto presto dovettero essere concessi gli statuti alle universitates civium sul modello di quanto accadde a Sermoneta. Anche Maranola e Castellonorato ebbero propri statuti. In particolare lo statuto di Maranola, pur redatto in una copia paleograficamente riconducibile alla seconda metà del XVII secolo, risale ad un periodo anteriore, probabilmente al sec. XV.
L'estensore aveva frequentato la bottega del notaio Domenico Buosso di Gaeta, figlio del notar Francesco, che esercitò per conto del Capitolo della Cattedrale di Gaeta tra il 1660 ed il 1696. L'amanuense lasciò tyraccia anche presso altre botteghe notarili.
Secondo il Besta lo statuto di Castellonorato è databile al 1503 (Storia del diritto italiano, I, p. 656). Lo statuto venne visionato da A. De Santis nella biblioteca di mons. Salvatore Leccese di Gaeta. Si trattava di una copia del 22 luglio 1873 estratta da un'altra copia del 1796 del notar Rocco Cardillo. Quella copia si conservava nell'archivio dell'università di Castellonorato.
Nel protocollo vi è segnalata la data 4 ottobre 1507, IX indizione. Nella narratio si ricorda la controversia sui confini tra le due università di Maranola e Castellonorato, dopo la divisione del 1428. L'atto di concordia era stato sottoscritto da Isabella Colonna Gonzaga.
Nello Statuto venivano delineati i confini dell'università di Castellonorato. L'indice degli Statuti veniva preceduto da un'ulteriore sottoscrizione di conferma data in Fondi da Prospero Colonna e Isabella Colonna Gonzaga il 16 aprile 1508.
Nel 1447 il censimento (fonti aragonesi) attribuiva a Castellonorato 83 fuochi vale a dire circa 415 abitanti.
Il Liber focorum regni Neapolis (censimento effettuato tra 1449 e 1456), compilato nel XV secolo, assegnava a Castellonorato nel comitato di Fondi fuochi 76 ed il pagamento di una tassa di 2 once e 10 tarì in quanto università a sè.
L'università di Castellonorato aveva pure una curia per l'amministrazione della giustizia. Nella chiesa di S. Caterina è ancora conservato il seggio ligneo.
Se si considera che Castellone e Mola nel 1458 avevano rispettivamente fuochi 117 e 63, vale a dire abitanti 585 e 315 circa, i 76 fuochi di Castellonorato corrispondevano a circa 380 persone. Si trattava, pertanto, di un agglomerato di tutto rispetto se confrontato con gli altri borghi insistenti nel territorio dell'antico ducato di Gaeta.
La contea di Fondi e così anche l'universitas civium di Castellonorato passarono il 20 maggio 1497 a Prospero Colonna.
Le attività produttive di Castellonorato si basavano essenzialmente sulla coltivazione dell'ulivo e sulla produzione di uva da vino. Si può notare dai pochi documenti superstiti una forte frammentazione della proprietà terriera.
Di un certo rilievo appariva l'attività legata all'allevamento ed alla pastorizia con ampie zone a pascolo sui versanti di Spigno ed Esperia, lungo la dorsale aurunca. Gli statuti di Maranola e Castellonorato ricordano le norme circa la custodia e macellazione di bovini, suini ed ovini. Non dovevano mancare allevamenti di cavalli per la cospicua presenza di carrubeti. D'altronde i casali si configuravano quali aziende agricole con parti dedicate all'allevamento.
La realtà boschiva veniva rappresentata ampiamente dalle piantagioni di querce (da cui il toponimo Cerqueto), roverelle, olmi, sorbi...
Le zone fertili terrazzate erano situate lungo la fascia pedemontana a ridosso delle sorgenti, che favorivano l'attività dei frantoi e molini piuttosto numerosi in relazione alla superficie del territorio. Nella zona a valle (Penitro) per il terreno fortemente argilloso vi doveva essere un'ampia stagnazione di acque
Nei pressi di Trivio dove si trovava una caldana con effervescenza di acqua calda.
La distribuzione degli insediamenti abitativi ancora nel XVIII secolo vedeva l'esistenza di numerosi casali, che sembrerebbero, almeno per una parte, coincidere con insediamenti medievali tipici su strutture abitative rurali più antiche.
I Formiami colles, richiamati più volte negli studi sulla realtà medievale formiana e sulle vicende del ducato di Gaeta tra IX e XI secolo, per gran parte nel tenimento di Castellonorato non furono mai abbandonati, ma senza soluzione di continuità rimasero abitati, con più o meno valida attività umana. Cosicché dall'età pre romana sino ai nostri giorni in questo territorio orientale dell'antica Formia, l'uomo ha lasciato segni della sua presenza medievale, anche se oggi si rischia di perdere la leggibilità di alcune rilevanti sequenze archeologiche degli insediamenti.

Il saggio di R. Frecentese è tratto da "Storia di Formia illustrata (a cura di M. D'Onofrio). Vol. II: Età medievale". Sellino editore, Pratola sannita, 2000, pp.117-133.