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•La chiesa di S. Erasmo: itinerario archeologico
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•Bibliografia su Formia nell'età medievale

•Roberto Frecentese: pubblicazioni


Nel sito gli studiosi possono trovare informazioni sulla cittą di Formia in etą medievale, dal raccordo con il tardo antico al termine del basso Medieovo.

I saggi sono condensati dalle pubblicazioni di Roberto frecentese riportate in calce.

Senza alcuna pretesa di esaustivitą, vengono ripercorsi alcuni tratti della storia formiana.

La bibliografia riporta i contributi pił significativi assieme ad alcuni studi di carattere pił generale, utili come punti di riferimento.


 

Vita et Passio S. Erasmi E. et M.

Il testo della Passio S. Erasmi, stilato da Gelasio II e ripreso in seguito dalla Vita et Passio S. Erasmi scripta a venerabili Gelasio PP. edita a domno Costantino Abbate Caietano ... eius gentili (Roma, 1803), venne tradotto da S. Ferraro nelle Memorie religiose e civili della città di Gaeta (Napoli, 1903, pp.11-37) a cent'anni dall'uscita dell'edizione romana ed in occasione del 1600° anniversario della morte del vescovo antiocheno Erasmo, assegnata al 2 giugno del 303 secondo il Martirologio romano. Altri martirologi indicano la data del 4 giugno.
È parso utile ripubblicare la traduzione a circa un secolo di distanza, data la rarità del volume del Ferraro, tirato in 500 esemplari, e la cui uscita in un esemplare fuori commercio doveva contribuire a ricevere offerte per il restauro della facciata della Cattedrale di Gaeta.
Il linguaggio usato per la trasposizione in lingua italiana è piuttosto aulico, come si addiceva ad un profondo conoscitore delle materie umanistiche. Ancora erano di là a venire gli studi paleografici e diplomatici di O. Engels, gli ancora più recenti contributi di R. Grégoire (Gli antichi testi agiografici relativi a S. Erasmo, in Arcidiocesi di Gaeta, XVII centenario di S. Erasmo vescovo e martire (+303-2003). Atti del convegno. Formia. Chiesa di S.Erasmo, 17 maggio 2003. Gaeta. Basilica Cattedrale 18 maggio 2003 (a cura di L. Cardi). Caramanica, Marina di Minturno, 2004, pp.15-52) e la querelle tra F. Halkin (La légende grecque de Saint-Erasme, in "Analecta Bollandiana", 101, 1983, pp.6-17), G. Desantis
( Gli Atti greci di s. Erasmo, in "Vetera Christianorum", 25, 1988, pp.487-555) e V. von Falkenhausen (S. Erasmo a Bisanzio, in Archeoclub d'Italia sede di Formia, Formianum. Atti del Convegno di Studi sull'antico territorio di Formia. III-1995 (v.), pp.77-92) sul testo greco della Passio e sull'individuazione della tradizione manoscritta dei codici latini e greci.
La vicenda erasmiana si colloca durante l'impero di Diocleziano (284-305), che era successo a Numeriano (283). Augusto per l'Occidente secondo la riforma dioclezianea dello stato con il principio della tetrarchia, era stato nominato Massimiano, detto l'Erculeo (286-305).
La persecuzione dei cristiani fu originata dall'applicazione di quattro editti: il primo (23 febbraio del 303) prevedeva l'abbattimento delle chiese ed il rogo dei libri sacri; il secondo ed il terzo imponevano agli ecclesiastici di sacrificare agli dei; il quarto (primavera del 304) costringeva tutti i cristiani a sacrificare agli dei.
Il nome Erasmo attribuito da un cristiano è attestato sin dai primissimi anni della diffusione del Cristianesimo (cfr. Atti di Pietro e Paolo dello Pseudo Marcello) e nel cimitero di Callisto sulla via Appia.
Il giovane vescovo di Antiochia venne imprigionato nel 19° anno dell'impero di Diocleziano (303), quando fu pubblicato il primo editto, secondo quanto riportato da Gelasio II. In realtà Gelasio colloca erroneamente il primo editto alla Pasqua del 303 che cadeva il 18 aprile. L'incongruenza è evidente. Ma non è l'unica dell'intera opera. Le note di carattere storico sono le più deboli del tessuto narrativo.
Alcuni particolari della Passio meritano qualche breve riflessione, senza alcun desiderio di esaustività.
L'aspetto giovanile di Erasmo è quello che comunemente si incontra nell'iconografia formiana e gaetana, ma anche nella maggior parte dei luoghi di culto italiani e del Mediterraneo. In alcune località viene raffigurato avanti negli anni, per cui quel culto potrebbe riguardare altri santi omonimi ma di altri periodi.
L'episodio del corvo che dà cibo ad Erasmo rifugiato in una grotta del monte Libano è, tra l'altro, attestato in un dipinto di Uzzano (Pt).
L'eviscerazione del santo è ampiamente raffigurata: tra le opere più significative bisogna ricordare la pala d'altare collocata nel Succorpo della Cattedrale dipinta da G. Brandi e la tela di C. Saraceni sull'altar maggiore.
Rispetto all'itinerario di Erasmo da Antiochia a Formia, descritto nella Passio gelasiana, alcuni altri testi propongono delle varianti sostanziali, tra le quali spicca quelle evidenziata dagli Acta sanctorum con il passaggio a Sidugrido, Sirinio, Carratium (isola Veglia), un porto non meglio precisato dell'Abruzzo e di lì a piedi a Formia.
Nel corso di alcune ricerche sulla cultualità erasmiana si è notato che tre sono state le direttrici dello sviluppo della devozione erasmiana.
La prima più antica è legata alla via Appia: lungo il percorso da Brindisi a Formia alcune chiese sono situate sulla strada consolare ed hanno avuto antica origine. La seconda è connessa con la diffusione benedettina: i monaci hanno portato con sé questa particolare devozione nel segno di un legame piuttosto datato nel tempo tra Formia e Montecassino. La terza via è quella della cultualità marittima, propagata al tempo di Gaeta potenza ducale. La flottiglia gaetana solcava il Mediterraneo recando nei porti il proprio patrono: s. Erasmo viene ancora ricordato protettore dei naviganti.
La sepoltura del confessore della fede viene localizzata extra mnia nella parte occidentale della città di Formia nei pressi dell'anfiteatro. Gli scavi archeologici sulla chiesa di S. Erasmo in Formia hanno portato alla luce una tomba martiriale attribuibile quale sepoltura di Erasmo. La tomba, rinvenuta vuota, va riferita al IV secolo. Le fonti narrative e i dati squisitamente archeologici si sono intersecati rilevando una serie di coincidenze interessanti circa le sepolture dell'area cimiteriale, l'epigrafia, il titolo della ex cattedrale, l'iconografia.

Formia: chiesa ex cattedrale di S. Erasmo. Vetrata di G. Hynal: s. Probo accoglie s. Erasmo.


Gelasio II colloca la tomba nei pressi dell'anfiteatro. L'errore è stato causato dalla dizione popolare, fino a qualche decennio or sono conservata anche nella toponomastica, di denominare il teatro anfiteatro. In realtà l'anfiteatro si trova nel perimetro accanto alla stazione ferroviaria ed è ancor oggi interrato. Ma lo sbaglio può essere stato occasionato dall'errata lettura paleografica del testo da cui Gelasio ha attinto la notizia.

 

Chiesa S. Erasmo. Area cimiteriale: tomba di s. Erasmo.


Nella parte finale della Passio l'autore della traduzione dichiara che il corpo di Erasmo fu rinvenuto al tempo del vescovo Probo, ma si tratta di un evidente lapsus per Bono. Il Ferraro se ne sarà accorto a stampa del volume avvenuta.
La parte della narrazione più problematica risulta essere quella concernente il rinvenimento del corpo di Erasmo a trent'anni dalla distruzione di Formia.
Tutta la Passio è redatta seguendo un canovaccio tipico di questo che è un vero e proprio genere letterario con forme piuttosto usuali.
Degli anacronismi e delle difficoltà interpretative si è dato conto nel capitolo dal titolo "Formia: dalla civitas ai borghi".
La Passio S. Erasmi (1078-1088) venne redatta da Gelasio II, al secolo Giovanni Coniulo di Gaeta, monaco benedettino cassinese in un particolare momento della vita politica cittadina gaetana. Un duplice intento sembra aver guidato l'estensore: uno chiaramente spirituale per l'interiore affinità che accomunava il monachesimo benedettino alla figura di Erasmo; l'altro di natura più squisitamente politica contrassegnata dal profondo legame con la sua terra natale.
L'invito rivoltogli dall'abate Desiderio (1058-1087), suggerito nel prologo, venne accettato dal monaco, che dedicò l'opera allo zio Giovanni, che aveva esortato il giovane ad approfondire gli studi letterari.
La traduzione del Ferraro, per quanto consta, è stato il primo tentativo di rendere maggiormente fruibile un testo da sempre conosciuto in lingua latina.
La traduzione è stata curata da uno dei canonici più illustri del Capitolo della Cattedrale di Gaeta, in un'arcidiocesi che tra metà del XIX e i primissimi anni del XX secolo aveva sacerdoti di alto spessore culturale. Ne è stata testimonianza il Liceo-ginnasio ospitato nel Seminario del palazzo "T. de Vio" in Gaeta, che si avvaleva di un corpo docente di alto profilo culturale.

Scheda su mons. Salvatore Ferraro:

Nato nel Borgo di Gaeta il 18 gennaio 1835 da Nunzio e Agata Leccese.
Battezzato nella chiesa di S. Giacomo apostolo in Gaeta il 18 gennaio 1835 con i nomi di Salvatore Francesco.
Suddiacono il 19 dicembre 1857.
Diacono il 18 dicembre 1858.
Presbitero il 24 marzo 1860.
Prelato domestico di Leone XIII nel 1894.
Parroco di S. Giacomo apostolo in Gaeta dal 1861.
Parroco di Carlo Borromeo in Gaeta dal 1877.
Fu canonico teologo, arciprete della Basilica cattedrale di Gaeta, Vicario generale dell'Arcidiocesi di Gaeta.
Morto a Gaeta il 30 settembre 1914.
Tra le pubblicazioni maggiormente significative:
- Memorie religiose e civili della città di Gaeta. Giannini, Napoli, 1903.
- La colonna del cereo pasquale di Gaeta. Contributo alla Storia dell'Arte Medievale. Giannini, Napoli, 1905.
- Di una via aperta dal censore L. Valerio Flacco nell'agro formiano. Tipografia Salesiana, Roma, 1912.
- Le monete di Gaeta con appendice su le medaglie. Melfi & Joele, Napoli, 1915. Rist. anast. Gaetagrafiche, Gaeta 1988 con prefazione di L. Cardi.
Fu valente numismatico. Del XVIII volume del Corpus Nummorum Italicorum, pubblicato nel 1939, l'autore Vittorio Emanuele III si avvalse ampiamente delle conclusioni prospettate dal Ferraro.

 

 

Vita e martirio di S. Erasmo Vescovo e Martire
edita dal Ven. Gelasio Pp. II e Monaco Cassinese

 

 

PROLOGO

 

Giovanni suddiacono e monaco cassinese al signor Giovanni suo zio, ossequio di piena servitù.
Poiché sta scritto: il disobbedire è come il peccato della divinazione, e il non voler soggettarsi è come il delitto d'idolatria (I Reg. 15); il negar qualcosa ai comandi, molto meno alle preghiere della Paternità Vostra, per me pare che sia grandissimo delitto.
Imperocchè dopo Dio, ed il piissimo e rev.mo abbate nostro, Desiderio, a voi solo io debbo quel tanto, che ho conseguito negli studii delle lettere. Del non avere io dunque sinora, tanto da voi pregato, scritto la storia del martire Erasmo, il cui corpo riposa nella nostra patria, ossia in Gaeta, la ragione grandissima fu questa, che affaticandomi nell'esercizio dell'imparare, non potevo attendere a simili cose. Ieri l'altro poi, accintomi a questo lavoro, ho avuto sì grande rincrescimento, che ero al punto non solo di non obbedirvi, ma anche di lasciare rozza, com'era, e disordinata la storia del martire. Imperocchè due edizioni della medesima storia discordano fra loro a tal segno, che pare narrino i medesimi fatti di due santi diversi. Ma ricercate con accuratezza le storie ecclesiastiche di Eusebio da Cesarea, ed interrogato un nostro fratello, che una volta dimorò in quei luoghi, prima che il santo martire, come narrasi, ne fosse menato via, conobbi che l'una di esse, la più antica, era più vera.
Seguendo dunque la Cronaca di Eusebio e riordinando la materia dell'edizione più antica, fidando nei meriti di s. Erasmo e nelle vostre preghiere, mi metterò all'opera tante volte domandata.

 

FINISCE IL PROLOGO

 

Comincia la vita e il martirio di s. Erasmo vescovo e martire.

 

Numeriano, figliuolo di Caro Narbonese, ritornando dalla Persia a Roma, lusingatovi da Apro, suo suocero, poiché, mentre era portato in lettiga, si morì, l'impero della repubblica passò a Diocleziano Dalmata, figlio di scriba, e liberto del senatore Anolino.
Nascendo quindi fra le Gallie una sommossa dei Begaudi, i quali, sotto la guida di Armando e di Eliano, accendevano l'occulto odio contro il popolo romano, Diocleziano creò Cesare Massimiano soprannominato l'Erculeo. Di qui quante grandi vittorie per terra e per mare abbia riportate l'esercito del popolo romano, quante favorevoli, prospere e felici, come si bramano, siano loro riuscite tutte le cose, sotto l'impero di lui, non è nostra intenzione, né in nostro potere il dirlo.
Ma, poiché dobbiamo in parte ascrivere a gloria di Dio la crescente rabbia ed il furore di lui contro i Cristiani, ci sembra degno e conveniente ricordare quanto arrogante il medesimo sia stato, e quanta superbia, oltre ogni segno, siasi gonfiato. Imperocchè, mentre sino a quel tempo gl'imperatori romani avevano usato di portare oltre le vestimenta private, soltanto la clamide di porpora, costui fece porre delle gemme alle vesti ed ai calzari che usava.
Infine portato dal fasto diè in tanto matta superbia da comandare che i sudditi prostesi per terra lo adorassero, il che sia allora presso i Gentili, sia anche ora presso i Cristiani si tien dovuto al solo Dio; mentre è manifesto che i passati Imperatori, fino a quel tempo, erano stati soliti di esser salutati con solo un inchino di capo, a guisa de' giudici. Da ultimo egli che aveva comandato si rendessero a lui onori divini, ordinò che se gli adoratori della divina maestà in ogni luogo non acconsentissero d'immolare ai simulacri, vi fossero astretti con varie sorta di pene e con nuove macchine di tormenti. Che anzi, se fra i tormenti dei supplicî, saldi nella solita loro costanza, per niun modo restassero di confessare il nome di Cristo, ordinò contro loro sentenza di morte da eseguirsi in varî modi.
Adunque all'anno 19° dell'Impero, mentr'egli dimorava in Asia insieme a Cesare, in Nicomedia, per comando di lui si levò più fiera del solito la tempesta della persecuzione contro i Cristiani. Perocché nel marzo, nel giorno santo della domenica di Risurrezione, pubblicò un editto, che si abbattessero dalle fondamenta le chiese de' Cristiani e si bruciassero al fuoco i codici delle Sante Scritture. Non si può quindi comprendere quanti in ogni città, in ogni regione, messi a morte ciascun dì, con varî supplizi, per l'amore di Cristo, meritarono di essere aggregati al bel numero dei celesti cittadini.
Nello stesso tempo Erasmo, vescovo di Antiochia, sospettando dell'umana fragilità, che cioè, s'ei fosse con tormenti astretto a sacrificare, non venisse a mancare, fuggendo all'eremo del monte Libano, si teneva celato ne' nascondigli delle spelonche.

Cattedrale di Gaeta. Colonna del cero pasquale: il corvo porta il cibo a s. Erasmo.

 


Ivi, per disposizione divina, a lui, ogni dì, veniva recato da un corvo il cibo per sostentarsi; e venendo ciascuna fiera ai nascondigli di lui, gli lambivano i piedi; nè solevano partirsi da lui per altro luogo, se non dopo avutane la benedizione.
Pertanto gl'imperatori, lasciata Nicomedia, essendosi recato Massimiano in Dalmazia, Diocleziano di Antiochia, mentre il vescovo Erasmo, ogni dì, con preghiere e lagrime chiedeva a Dio che gli fosse rivelato se agli occhi di Lui ei fosse tenuto degno di soffrire il martirio, per comando del cielo gli fu imposto che si ritornasse in città, e che, amministrando al popolo da lui lasciato i conforti della celeste dottrina, lo confermasse nella fede del Signore, acciocché non venisse meno nella persecuzione; poiché sapeva senza dubbio che molti, e per la parola e per l'esempio suo, sarebbero rafforzati, ed egli, guadagnando moltissime anime a Dio, si comprerebbe la gloria del martirio.
Avvertito adunque dal comando di Dio, il sacerdote cacciato via ogni timore, lascia l'eremo, ritorna alla città; ed al popolo travagliato dalle tribolazioni, porge non solo i conforti della dottrina, ma anche de' miracoli. Prima poi ch'entrasse nella città, per via gli si facevano incontro quanti erano posseduti dai demoni, e ponendo sopra di essi le mani e pregando il Signore, li liberava dall'invasione dei demoni, e pel lavacro del battesimo, gli rendeva partecipi della grazia divina.
Udendo poi Diocleziano Augusto che il vescovo della città, il quale sino allora, pel timore della persecuzione, era stato nascosto, erasi ricondotto in città, e, che operando, alla vista di tutti, moltissimi miracoli, allontanava non pure i Gentili dal culto degli dei, e rafforzava i Cristiani, acciò stessero fermi nella fede, e che ogni giorno gli uni e gli altri in folla traevano a lui, ordinò che, spediti gli ufficiali, fosse arrestato e condotto dinanzi al suo cospetto. E mentre gli stava dinanzi, guardando con occhi un po' torvi: <<Chi sei tu, gli dice; che osi di opporti ai nostri editti, e scemare la onnipotenza dei santi Numi?>>
S. Erasmo rispose: <<Io mi chiamo Erasmo>.
E Cesare: <<Di quale condizione sei o lignaggio?>>.
S. Erasmo: <<La mia condizione si è quella di servo, non però da tenermi stretto al giogo di umana servitù, ma sono servo del dominatore di tutti, Gesù Cristo. E benché tu temerariamente mi abbia rivolta una stolta domanda, potendosi conoscere il lignaggio nella opposizione, io mi sono un uomo nobile ed illustre, nato dal sangue de' primati di questa città>>.
A queste parole adiratosi Cesare: <<Se non ti muovi, gli dice, a sacrificare agli Dei, renderò vana tutta la tua solerte sapienza in cui tu, fidato, dici di aver io stoltamente parlato>>.
E s. Erasmo: <<Saprai senza dubbio, o Cesare, che io uomo ragionevole, vivente, senziente, godendo l'esercizio di tutte le membra, per niun modo posso essere indotto a piegar la fronte, a dare incenso, a immolare vittima a simulacri privi di ragioni, di vita, di senso e dell'uso di tutte le membra. Perocché io offerisco continuo sacrifizio di lode e di cuore contrito a Colui, che creò i cieli e la terra, e dié l'esistenza a tutte le cose che sono, anche agli stessi uomini malvagi, ai quali si appartengono cotesti simulacri>>.
Allora Diocleziano rivoltò agli ufficiali: <<Distendetelo, disse, e battetelo con flagelli armati di piombo, affinché io sperimenti a chiare prove la pazienza di lui>>.
E mentr'era battuto con colpi de' gravi flagelli, il s. vescovo, con gli occhi levati al cielo, gridava dicendo: <<Sia gloria a te, o Signore Gesù Cristo, che dicesti: "Io son via, verità e vita"; che m'hai aperto la via alla gloria del martirio, affinché confessando la tua verità io meriti esser fatto partecipe della eterna vita, dove tu, secondo la tua promessa, mi confesserai dinanzi al Padre e agli angeli. Aiuta il tuo servo, o Dio nostro refugio e virtù nelle tribolazioni, affinché egli non tema lo sconvolgimento della terra, e il suono delle acque frementi contro di lui. Sii con me, o Dio della virtù, acciò non mi assorbisca il mar profondo, e il pozzo non serri la sua bocca sopra di me>>.
Vedendo dunque l'imperatore la costanza del martire, ne fù assai ammirato, e credendo di poterlo piegare con le lusinghe, si fe' a parlargli così: <<Compatisco purtroppo, o Erasmo, all'avvenenza della tua giovinezza, e ti esorto a far senno, e a non voler perdere il fiore di tanta gioventù. Poiché ti prometto che, se condiscenderai a noi e sacrificherai, ti colmerò di doni, e farò che tu sii il primo fra i primati in questa città>>.
Rispondendo, s. Erasmo disse: <<Serba per te i tuoi doni insigni, e l'onore che mi prometti. Io per me non lascerò il Signore Gesù Cristo, il quale ora è con me e dopo lo scioglimento di questo mio corpo mi condurrà alla vita eterna>>.
Allora l'imperatore comandò che fosse lungamente battuto con bastoni. Ed avendo i ministri, nel batterlo, rotte ben tre paia di bastoni, pur non appariva sul dorso di lui alcun segno di ferita o di lividura. Il che vedendo gli astanti, cominciarono a gridare, dicendo: << Veramente grande, e vero Dio si è il Dio de' Cristiani, che tante meraviglie fa vedere ne' suoi servi>>.
L'imperatore poi temendo che il popolo, a vista di queste meraviglie non si convertisse a Cristo, prese a gridare e a dire: <<O potente virtù di maleficii e d'incantesimi, ch'è capace di operare sì grandi cose agli occhi degli uomini da far credere esser la mano della divina potenza! O non conoscete voi, che siete presenti, come costui per opera di magia nasconde ai nostri occhi le ferite delle sue carni?>>.
A queste parole il martire di Cristo, rispondendo disse a Cesare: <<Confonditi, o figlio di Satana, taci, o artefice d'ogni malizia, riconosci e apprendi la potenza del Signor nostro Gesù Cristo, il quale, per queste temporali afflizioni, innalzerà me agli stessi gaudii del cielo, e, dopo i fasti dell'impero, sommergerà te nell'eterno incendio della Geenna>>.
Cesare adunque, sia per la meraviglia e le grida del popolo, sia per le rampogne e i rimproveri del santo martire, montato fortemente in ira, comanda che gli siano solcate le ossa con unghie di ferro, e, con l'apertura di esse, ne appariscano fuori le intime visceri. Ma fra tutti questi tormenti, il santo sacerdote del Signore e martire Erasmo, esultando, cantava le parole di Davide: <<O Dio, le nazioni sono entrate nella tua eredità; hanno contaminato il tempio tuo santo; han ridotto Gerusalemme in monti di ruine; han gettato i cadaveri dei tuoi servi pasto agli uccelli dell'aria, le carni dei santi tuoi alle fiere della terra>>.
Allora l'imperatore comandò che si facesse liquefare al fuoco pece e resina e solfo e cera, e tutto da capo a piè ne fosse coperto il martire di Cristo.
E, mentre ciò si faceva, s. Erasmo gridava a Cesare: <<Dove son essi, o infelice, i terrori delle tue minacce? Ecco che a me porge refrigerio il Signore Gesù Cristo>>.
Stupefatti a questo spettacolo tutti gli astanti e lo stesso Cesare, la città tutta gridò ad una voce: <<Lascia, o Cesare, quest'uomo innocente, lascia libero il vescovo della città>>.
E i Gentili una co' Cristiani schiamazzavano contro di Cesare. Alla stessa ora successe un gran tremuoto, e rumoreggiò tale un tuono, e folgorarono tai lampi in quel luogo che moltissimi dei Gentili quasi morti caddero a terra, e si credeva che, sconvolti gli elementi, subissasse tutta la città.
Spaventato a questo, Diocleziano, lasciato il tribunale, fuggì via strombazzando per questo avvenire tali cose, perché i Gentili insieme co' Cristiani avevano gridato, che il bestemmiatore de' numi fosse mandato libero, e che i prestigi mostrati in lui li avevano attribuiti non già, com'era, ad opere magiche, ma sì alla potenza di Cristo, come se fosse Dio. Essendosi poi nel fuggire ricoverato nel suo palazzo, ordinò che il b. Erasmo, legato con ferri fosse chiuso in carcere, minacciando fieramente a' custodi di non permettere, che alcuno entrasse da lui nel carcere, a recargli cibo o bevanda. Che se si fosse trovata persona di tanto ardimento da presumere di ciò fare, ordina che si faccia morire di spada. Subito introdotto il martire di Cristo nel carcere, egli stesso con il suo anello ne suggella le porte, e postevi le guardie, fa ritorno alla reggia per decidere di qual genere di tormenti finirlo il dì appresso.
Avvinto di catene si stava nelle tenebre il figliuolo della luce, e, privo di ogni umano conforto, chiedeva con preghiere continue l'aiuto di Dio onnipotente. Già era giunta il tempo della mezza notte, quando di ripente rifulse tanto splendore nel carcere da vincere la chiarezza del giorno, si diffuse tanta fragranza di odori, che si sentivano lì come tutti gli aromi.
Né tardò che un angelo smagliante di luce appressandosi a lui: <Sorgi, gli disse, o Erasmo, e seguimi>>.
All'istante i ceppi e le pesanti catene, di cui era avvinto il capo e le mani, si risolvettero in cenere, e, rendendo grazia a Dio, che degnossi di visitarlo, uscì fuora per la via, onde l'angelo lo guidava.
All'alba del dì seguente, destatosi l'imperatore, corre frettoloso al carcere, e trovando tutte le porte segnate dell'impronta del suo anello, come le aveva lasciate, comanda che sia tratto fuori il malefico disprezzator degli dei.
Entrati dunque i ministri nel carcere, e non trovandovi il s. martire, gridando dicevano: <<Per gli dei grandi, siamo stati vinti dai maleficii, poiché lui non abbiamo affatto trovato, ma il ferro dei suoi ceppi e delle altre catene pare in cenere disciolto e ridotto>>.
Udito ciò, Diocleziano, fremè in se stesso, e dandosi della mano sulla fronte: <<Davvero, disse, siamo stati gabbati con le magiche arti>>. E rivoltosi al popolo che erasi radunato: <<Non vedete voi, disse, o cittadini, le aperte magie di questo uomo? Dubitate voi forse che i Cristiani con incantesimi operino a' nostri occhi questi prestigi? Ma andate, dice agli ufficiali, andate, e per tutti gli angoli della città cercate del disprezzatore dei sacri numi. Per gli dei e per le dee onnipotenti lo giuro, se sarà trovato, si proveranno in lui tutti gli ordigni di pena, fino a che non ne sia strappata quell'anima nefanda, odiata da Dio e dagli uomini>>.Giusta l'ordine, i soldati corrono per tutti gli angoli delle piazze, nei bivî, nei trivî, negli angiporti, e cercano di Erasmo in tutta la città.
Ma, condotto altrove dal Signore, non è affatto trovato in Antiochia. Subito è in turbamento tutta la città, un orribile tumulto si leva contro di Cesare, mentre i Cristiani e i Gentili ad un tempo ricercano l'uomo di Dio, quelli a loro conforto, questi a sterminio di lui stesso. Imperocchè i Cristiani si dolevano che era stato loro rapito il dispensatore degli aiuti celesti. I Gentili fremevano per esser stato loro tratto di mano il disprezzator dei loro numi.
Volendo pertanto Cesare sedare le voci e i tumulti del popolo, dispensati ad esso de' doni, ritorna al suo palazzo.Ora il b. Erasmo, seguendo l'angelo a guida del viaggio, giunse alla città di Ocrida, la quale nell'estreme parti dell'Asia, edificata appunto in mezzo la regione della provincia Bulgaria, dista da Smirne quattro giorni di cammino. Dove giunto, prese, sia in palese, sia occultamente a predicare a tutti l'Evangelo di Cristo, e con varii segni e portenti a convertire alla fede cristiana i Gentili.
Imperocchè con la sola orazione e con la imposizione delle mani sanava gl'infermi di qualunque malattia: al solo comando cacciava i demoni dagli energumeni e illuminava ciechi e raddrizzava zoppi, o sia restituiva ad ogni infermo l'uso delle membra.
V'era nella medesima città uno dei primarî per nome Anastasio, il quale un giorno mentre piangendo e lamentando, portava a seppellire un suo figliuolo morto, in mezzo a una folla di nobili e ignobili, composto con molti ornamenti sul feretro, s'imbattè in santo Erasmo. E rimproverando primamente il santo tutto lo stuolo che lo seguiva per la vana pompa di quel defunto, indi rivolto a' genitori di colui che si portava a seppellire: <<Se vi piacesse, disse, di credere a Cristo che io predico, abbandonando i simulacri, all'istante sarebbe a voi restituito il vostro figliuolo>>. A cui Anastasio: <<Se, come prometti, trarrai dalle tenebre dello Stige il figliuolo e lo richiamerai in vita, affinchè i genitori godano del figlio, ed il figlio alla sua volta goda dei genitori, non si frapporrà alcun indugio a convertirci subito a Cristo, ed io e tutto questo popolo>>.
A cui s. Erasmo ripose: <<Non credere essere in potere di uomo compiere opere di simile fatta, in quanto che io mortale al pari di voi da divenire polvere fra poco, spogliando la morte del suo diritto, richiami uno alla vita; ma il creatore di tutti Gesù Cristo, al cui impero obbediscono la vita e la morte, per mezzo di me, suo servo, all'invocazione del suo nome farà che sia vivo colui che piangete già morto>>.
Ciò detto, postosi giù il feretro da que' che lo portavano, pregando per alquanto tempo il Signore Gesù Cristo, piegate le ginocchia, si curvò sul corpo del defunto ed esclamando, disse: <<In nome del Signor nostro Gesù Cristo sorgi e confessa quali cose hai vedute nello inferno>>.
Subito, tra lo stupore di tutti, alzandosi il giovinetto, come se si destasse da sonno, saltò dal feretro, e a gran voce prese a dire al popolo: <<Pentitevi, o cittadini, di aver vissuto sinora soltanto a rovina delle anime vostre, e di esservi lasciati ingannare da' demonî. Poichè non vi è altro Dio in cielo ed in terra oltre il Signore Gesù Cristo, cui predica quest'uomo beatissimo, e nel cui nome, dopo adoperati tanti prodigi innanzi a' vostri occhi, ha liberato anche me dalle porte infernali. Ho veduto, credetemi, colà le anime di tutti quelli che noi crediamo e veneriamo come dei, esser punite con eccessivi tormenti, nè concedersi ad essi alcuna tregua, anche picciola, dai tormenti che soffrono>>.
Udite queste cose, tutti a meravigliarsi, i genitori a piangere d'allegrezza, i Gentili, alzate al cielo le voci, a gridare per vero Dio il Signor Gesù Cristo, cui predica Erasmo. Nè andò guari, che Anastasio con la moglie, e col figliuol redivivo, e tutta la turba de' Gentili, si gittano ai piedi del b. Erasmo, pregando, che loro faccia chiaramente conoscere questo vero e onnipotente Iddio. Allora s. Erasmo li catechizzò, e per ben sette giorni, attendendo precipuamente a istruirli, li mondò tutti nel fonte del battesimo.
In questo mentre, Probo, schiuma di iniquità, e tutto dedito al culto dei demonî, il quale faceva da giudice nella stessa città, mandò a Massimiano Augusto lettera di questo tenore: <<Al divo Agusto Massimiano, trionfatore delle terre, e signore del mare, Probo>>.
<<Poco fa un mago di Antiochia, fuggendo l'ira di Diocleziano, socio della maestà vostra imperiale, penetrò nella nostra città; e tenendo ogni giorno, sia di nascosto, sia in palese, frequenti adunanze, si fa a predicare per vero Dio un non so quale Cristo crocifiso per i suoi delitti, e dà per demonî i nostri dei. E già si è imposto talmente a questi cittadini, ch'io ho paura di porgli addosso le mani, poichè già quasi tutto il popolo si è allontanato dal devoto culto degli dei. Se dunque la severità del vostro rigore, al più presto possibile, non porrà un freno a questo mago in cosiffatte sue presunzioni, sappiate che senza dubbio ne verrà un disprezzo grandissimo e a' nostri numi e al nostro impero; nè, dopochè si sono indignati gli dei, sarà possibile in avvenire provvedere più allo stato>>.
Di quel tempo Massimiano dimorava presso Sirmio, ne' confini della Dalmazia, la quale città dista sei giorni di cammino dalla metropoli, Durazzo. Avendo Massimiano letta questa lettera del giudice Probo, ordina, che quel mago sia menato a lui con la scorta degli uffiziali. Avuta dunque la lettera di Augusto, Probo fa prendere Erasmo, acciò, giusta l'ordine dato, fosse tradotto a Sirmio per essere giudicato, nell'esame di Augusto.
Difatti il santo vescovo, dandosi da sè stesso nelle mani dei soldati, al popolo da lui convertito (poiché già ne avea guadagnati un quattromila al Signore) mentre era arrestato, dava ammonimenti con più ardore del solito: <<Mantenetevi costanti e fermi, diceva egli, o figliuoli carissimi, nella fede che avete abbracciata; né dimenticate quei miracoli, che Dio onnipotente per mezzo di me suo servo si è degnato di operare sotto de' vostri occhi. Non si allontani dagli occhi della vostra mente la dottrina della mia predicazione. Attendete con sollecitudine, e badate di non cadere talora nello stesso laccio del Diavolo, dal quale siete stati liberati. Con ogni impegno e cura obbedite a' precetti dell'Evangelo, acciocché mediante esso giugnate alla vita eterna>>.
Quelli a piangere dirottamente e a far lamenti, Egli poi a esortare i soldati, acciò si affrettassero ad eseguire più presto l'ordine ricevuto.
Menato dunque a Sirmio, e fermatosi, presentato dai soldati innanzi al tribunale di Massimiano, questi si fa così ad interrogarlo: <<Dimmi, o più scellerato degli uomini, cui la terra sostiene, di qual dignità tu sei, o famiglia, che presumi di andare contro a' nostri ordini, e in oltraggio degli dei onnipotenti, divulgare nel nostro impero il nome di non so quale uomo nefando e ucciso per i suoi sacrilegî?>>
S. Erasmo, levati gli occhi al cielo, pregando nel suo cuore Dio ad assisterlo e proteggerlo, non rispose affatto ad Augusto.
Costui adiratosi, e, ordinando, che a schiaffi gli fossero peste le mascelle, diceva: <<A me disdegni, o più malvagio degli uomini, di dar risposta mentre io t'interrogo? Non sai tu che sei posto in mia potestà da poter io fulminare sul tuo capo sentenza sia di morte, sia di vita?>>.
S. Erasmo rispose: <<Questa potestà, della quale tu ti vanti, non avresti affatto, se per bontà dell'Onnipotente Iddio e del Signore mio Gesù Cristo non ti fosse stata concessa>>.
Massimiano disse: <<A me, o furfante, a me che tanto mi affatico pel culto degli dei onnipotenti, è stata concessa tanta altezza di potere pel cenno di un uomo messo in croce per le tue scelleraggini?>>.
S. Erasmo rispose: <<Il Signor Gesù Cristo è il solo Dio onnipotente; cotesti poi che tu dici onnipotenti, io gl'ignoro del tutto>>.
Massimiano disse: <<Ignori, o infamissimo di tutti, Giove, Apollo, Diana>>.
S. Erasmo disse: <<Costoro che hai indicato co' propri loro nomi sono demoni, seduttori degli uomini>>.
E Massimiano: <<Io non debbo per niun modo far parole con te, ma appunto fatti; perocché se all'istante non offri sacrifici agli Dei, sarai punito con diversi supplizii>>.
Così detto, si alzò dal trono, e accompagnato da tutto il popolo della città (in quel dì, sacro a Giove, ne andò al tempio per celebrare solenne sacrifizio) comandò agli uffiziali che, dietro sè, menassero al tempio il disprezzatore degli dei. Stavano nel tempio trombettieri, lirici, e modulatori di sinfonie, e tutta la compagnia de' musici sonavano con grazia meravigliosa in onore di Giove.
Giuntovi Augusto: <<Ecco, disse, o Erasmo, gli dei onnipotenti, che tu, poco fa, hai confessato di non conoscere, e mostrando un dito una statua di bronzo di tredici cubiti: <<Questa, disse, si è l'effigie di Giove, primo degli dei; accostati dunque e sacrifica>>.
Ma il beato Erasmo, fiso al quanto la mente e gli occhi al cielo, rivolse lo sguardo verso la statua mostratagli dall'imperatore, ed ecco, che, caduta a terra, tutta si ruppe e si ridusse in cenere. Uscito poi dal simulacro un grosso serpente, menò fiera strage del popolo ivi radunato.
Augusto allora, tra per l'ira eccessiva e pel timore, montato subito a cavallo, tornò al suo palazzo.
Pertanto il santo vescovo, colta l'occasione, cominciò a spargere al popolo gentile i semi della dottrina evangelica; e invitarli alla grazia della fede cristiana con queste esortazioni: <<Voi lo vedete, o cittadini, voi lo vedete; e, poiché ragionevoli, voi conoscete chiaramente, come credo, che cosa fino ad ora avete adorato, ed a chi tutti voi insieme con Cesare volevate che io sacrificassi e piegassi la fronte. Convertitevi dunque al vero Dio, pentendovi del passato errore, ed egli vi camperà dalla orrenda strage di questo dragone>>.
A queste parole tutto il popolo gridò: <<Salvaci, o servo di Dio, noi già crediamo che è vero Dio quello che predichi, cioè Gesù Cristo>>.
Allora il beato Erasmo, rivoltosi al dragone, disse: <<In nome del Signor nostro Gesù Cristo comando a te, o spirito maligno, che ti nascondi in questo serpente, di non offendere più niuno di quei che qui sono presenti>>. A questo comando il dragone fuggì, e dopo la parola del martire di Cristo non offese più alcuno del popolo radunato.
I Gentili vedendo sì grande miracolo operato in nome di Cristo, credettero a Dio e furono battezzati nel medesimo luogo quasi mille persone.
Avendo poi conosciuto Massimiano, che alla predicazione del s. martire una gran parte de' Gentili avevano creduto a Cristo, spedita una guarnigione di armati, comandò, che fossero uccisi di spada tutti quelli che avevano creduto. E venuti i soldati, e indicata la causa della loro venuta, tutti spontaneamente da sé si offrirono ad esser decapitati pel nome di Cristo.
S. Erasmo vedendoli tutti unanimi nella fede e nella confessione del Signore, ringraziava Dio, che per mezzo di lui erasi degnato di guadagnare tante anime, e che i talenti a lui affidati, pel dono della sua grazia, li riceveva moltiplicati. Raccomandandosi poi essi con particolare letizia e gaudio alle intercessioni di lui: <<Andate, diceva, o figliuoli e fratelli miei, andate alla reggia dell'eterno Re a ricevere la perpetua corona, e raccomandatemi presso Dio co' vostri meriti e colle vostre orazioni, in quanto che, siccome voi per opera mia, coll'aiuto della grazia di Lui siete giunti alla corona del martirio; così anche io, per mezzo vostro, coll'aiuto della sua clemenza, vinti gl'inganni dell'antico nemico, venendo dietro voi, meriti di giungere alla gloria sempiterna>>. E rispondendo tutti: <<Sia così>>, ne furono decapitati circa trecentotrenta.
Da ultimo i soldati, credendo di risparmiarla al popolo, lasciati andare gli altri, tennero s. Erasmo, e conducendolo al palazzo, lo presentarono a Cesare Massimiano.
Questi, acceso d'ira, comandò fosse arroventata una tunica di bronzo, e che il martire di Cristo, spogliato di tutte le sue vesti, fosse di quella ricoperto. Allora s. Erasmo, segnandosi del segno della croce, spontaneamente da se stesso si vestì della tunica di bronzo arroventata, ed esultando in colui pel cui nome soffriva queste cose, diceva: <<Siam passati pel fuoco e per l'acqua, ma ci hai qui condotto in luogo di ristoro, ci hai provato, o Dio, hai fatto di noi saggio col fuoco, come si fa con l'argento>>.
Ma come quella tunica ebbe toccato la carne di lui diventò fredda come neve, né il fuoco corporale poté fare alcuna lesione al corpo di lui, il cui cuore ardeva delle fiamme del fuoco spirituale.
Stupiti tutti a sì grande miracolo, e plaudendo al Dio onnipotentissimo de' cristiani, l'imperatore cominciò a gridare e dire: <<Onnipotentissimi dei, e tanto può di arte magica la illusione, da mutare anco la natura delle cose, confondere gli elementi e potere esercitare qualunque cosa è di sua volontà?>>.
Ed il santo deridendo: <<Dov'è, disse, o Cesare, la potenza dei tuoi numi? Voi al fuoco formate l'effige di essi di oro e di argento, ma formate e adorate che sono da voi, se si danno nuovamente al fuoco, si riducono in cenere. Or tu vedi come a me, nel nome del mio Dio, il fuoco non poté pur imprimere alcun segno di bruciamento, confonditi e ti vergogna, o figlio del Diavolo, o progenie di Satana; confonditi, e riconosci la potenza del Signor mio Gesù Cristo, davvero operatrice di tutto che ha voluto>>.
Allora l'imperatore, fuori di sé, non potendo per qualsiasi modo per la vergogna del popolo astante frenare il suo furore, fece empire di piombo, resina e pece e olio una botte, e liquefatti e bollenti da versarsi presso il fuoco, comandò che il martire di Cristo vi fosse immerso, e che ivi sino alla cima del capo il corpo ne fosse bruciato. Ma il guerriero del Signore, munito del vessillo della croce, dopo che spontaneamente, ringraziando Dio, fu disceso nella caldaia, non sentì affatto la forza del fuoco, ma scoppiando una fiamma dalla rovente caldaia abbruciò una parte del corpo di Augusto ch'era vicino. Ed egli non soffrendo il dolore e la vergogna, a lui toccati per tanti trionfi e miracoli del martire, esclamò: <<O cima di tutti i più scellerati, o inventore di tutti i maleficii, oh empietà, hai posto le mani fin sullo stesso principe dell'Imperio romano! Quale si darà pena a costui, reo di sì grandi delitti? Qual supplicio, quale morte troveremo noi mai?>> Però molti del popolo, vedute queste cose, credettero nel Signor Gesù Cristo.
Temendo dunque l'imperatore Massimiano non che tentasse di richiamare pur uno alle cerimonie degli dei, ma molti, ammirando la costanza e i prodigi di lui, non si allontanassero dal culto degli dei, comandò che s. Erasmo fosse messo nelle prigioni.

Cattedrale di Gaeta. Colonna del cero pasquale. Massimiano comanda l'arresto di Erasmo.


Adunque, mentre s. Erasmo al solito vegliava nel silenzio della piena notte, e chiedeva con assidue preghiere il divin patrocinio, nel mezzo della notte rifulse un grandissimo splendore, nel quale gli apparve un giovane di aspetto avvenente, dicendo di essere a lui spedito da Dio, e gli comandò di seguirlo e di uscire con lui dal carcere. Di subito discioltisi i ceppi, uscì dal carcere, e, menato fuori le mura della città, ebbe ordine di andare a Durazzo, e di lì passare a Formia, città dell'Italia.
Con passo frettoloso adunque giungendo a Durazzo, sotto la guida di un angelo, prestamente monta su di una barchetta trovata nel porto, e col favore dei venti approdò alla città di Formia.

Quivi non essendosi rimasto per ben sette giorni di ammonire i popoli a profittare in Cristo, al nono giorno finalmente si fece a lui una voce dal cielo, dicendo: <<Su, servo buono e fedele, poiché nel poco sei stato fedele, io ti farò padrone di molto, entra nel gaudio del tuo Signore>>.
Il che udito il martire di Cristo esultando, e premessa una preghiera, rese il suo spirito. L'anima poi di lui nell'uscire dal corpo, fu veduta dagli astanti di tale un candore da vincere anche la bianchezza della neve. E così, mentre gli angeli cantavano un inno, fu portato su alla reggia dell'eterno Re.

Formia: resti del teatro romano.

Fu poi seppellito alla parte occidentale della stessa città, presso l'anfiteatro, da Probo vescovo, ed ivi stesso riposò per molto tempo, cioè fino all'eccidio della stessa città.
Imperocché passati moltissimi anni, dopo la sua morte, distrutta Formia dall'esercito dei Saraceni, i Gaetani temendo che, o per violenza, o per furto, non avessero a perdere il corpo del beato martire, qualora fosse ivi lasciato, lo trasportarono entro le mura della loro città, e lo riposero nel tempio della santa e gloriosa Madre di Dio e Vergine Maria.

Cattedrale di Gaeta. Colonna del cero pasquale: il corpo di s. Erasmo viene portato a Gaeta.


Dopo trent'anni, mentre il sommo pontefice e papa Giovanni reggeva la santa romana ed apostolica chiesa, Buono, vescovo di Gaeta, insieme col patrizio Docibile, figlio di Giovanni patrizio, già defunto si diede a ricercare le ossa di s. Erasmo. Ed invece, trovato il corpo incorrotto riposto nel luogo dove innanzi abbiamo detto, lo nascose in una fossa più profonda, e sopra, dal lato di mezzogiorno, vi costruì un altare in onore del martire; nei gradini che stanno avanti all'altare, fu posta anche una lapide con certi caratteri i quali contengono questa iscrizione: In questo luogo fu trovato incorrotto ed intatto il corpo del santo martire Erasmo, ai tempi di papa Giovanni, da Bono, vescovo di Gaeta.
In quali modi poi, sino a oggi, il beato martire protegga i cittadini della sua Gaeta, e con quanti miracoli egli mostri di essere sempre propizio ad essi, non è da questa scrittura il dirlo.
Avvengono, pei meriti e la intercessione di lui frequenti miracoli, vuoi nel luogo dove ora riposa, vuoi in quello dove prima fu posto ai pressi di Formia, e a tutti che picchiano degnamente, viene aperto; e quei che pur degnamente chiedono, ricevono quello di cui pregano, mediante l'aiuto del Signore nostro Gesù Cristo, il quale col Padre e con lo Spirito Santo vive e regna Dio per tutti i secoli de' secoli.
Così sia.

FINE DELLA VITA E PASSIONE DI S. ERASMO VESCOVO E MARTIRE.

Il saggio è tratto da "Storia di Formia illustrata (a cura di M. D'Onofrio). Vol. II: Età medievale". Sellino editore, Pratola sannita, 2000, pp.157-180.